IL TRIBUNALE

    Esaminata   la   richiesta   di   giudizio   abbreviato  avanzata
all'udienza   dibattimentale  del  21 gennaio  2004  nell'ambito  del
procedimento penale n. 277/03 a carico di Ciardi Umberto;

                            O s s e r v a

    Con  decreto  emesso  in  data  22 ottobre  2002  il p.m. in sede
disponeva  il  rinvio  a  giudizio  dinanzi  a  questo  tribunale  in
composizione monocratica di Ciardi Umberto, affinche' rispondesse fra
l'altro   del   reato   di   ricettazione   contestato   al  capo  A)
dell'imputazione,  avente  ad  oggetto  l'autovettura  Alfa  Romeo di
provenienza illecita, in quanto oggetto del delitto di furto commesso
ai danni di Lattuada Riccardo.
    All'udienza del 4 aprile 2003 le parti processuali formulavano le
rispettive richieste di prova; all'esito la pubblica accusa procedeva
ad  una  modifica  del  capo  di imputazione sub A) attinente al c.d.
delitto presupposto del reato di ricettazione; in particolare il p.m.
contestava  -  sulla  base di emergenze processuali che erano gia' in
suo   possesso  all'atto  dell'esercizio  dell'azione  penale  -  che
l'autovettura  ricettata, di proprieta' della S.p.a. Savarent, era di
provenienza  illecita  perche' oggetto del delitto di rapina commesso
ai danni di Lattuada Riccardo.
    Il  giudice, quindi, stante la contumacia dell'imputato, rinviava
il  processo disponendo ai sensi dell'art. 520 c.p.p. la notifica per
estratto del verbale di udienza a Ciardi Umberto.
    Si  perveniva  cosi'  all'udienza  del  21 gennaio 2004 nel corso
della quale il difensore, preliminarmente, munito di procura speciale
chiedeva  che  il  procedimento  a  carico  del  suo  assistito fosse
definito con il giudizio abbreviato.
    In  base  all'attuale  assetto  normativo  la  richiesta dovrebbe
necessariamente  dichiararsi  inammissibile  perche' tardiva: essa e'
stata formulata dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, e
dunque, oltre il limite temporale fissato dall'art. 555 secondo comma
c.p.p.
    Senonche'  una  declaratoria  di  inammissibilita', ad avviso del
giudice  scrivente,  si  appalesa incostituzionale con la conseguenza
che   va   sollevata,   di  ufficio,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 516 c.p.p. nella parte in cui non prevede -
qualora  il  p.m.  abbia  proceduto  ad  una  modifica  del  capo  di
imputazione  sulla base di elementi processuali che erano gia' in suo
possesso  al  momento dell'esercizio dell'azione penale - la facolta'
dell'imputato   di   richiedere   al   giudice  del  dibattimento  la
definizione del procedimento a suo carico con il giudizio abbreviato.
    In  primis  va evidenziato che la questione e' rilevante giacche'
nel  presente  procedimento occorre delibare in ordine alla richiesta
di giudizio abbreviato formulata dal difensore dell'imputato.
    Quanto  ai  profili  di  illegittimita' costituzionale ritiene il
giudice   che   l'art. 516  c.p.p.  nella  sua  attuale  formulazione
contrasta con gli artt. 3 e 24 Cost.
    L'attuale  preclusione  per  l'imputato  di  accedere al giudizio
abbreviato  nell'ipotesi  in  cui  nel corso del dibattimento il p.m.
abbia  provveduto  ad una modifica del capo di imputazione si traduce
in  una  lesione  del  diritto di difesa, vieppiu' evidente qualora -
come  e'  avvenuto  nel  caso  di  specie  - la pubblica accusa abbia
operato la modifica dell'originaria contestazione non gia' sulla base
di  elementi  nuovi affiorati durante l'istruttoria dibattimentale ma
sulla  base  di emergenze che erano gia' in suo possesso e che quindi
avrebbero  gia'  potuto  orientarla  per  una  corretta  formulazione
dell'imputazione.
    Ed,  invero,  con  riferimento  ad  una modifica dell'imputazione
effettuata  sulla  base  di  elementi emersi nel corso dell'attivita'
istruttoria  potrebbe  sostenersi  che l'imputato optando per il rito
ordinario  ha  accettato  tale  evenienza,  peraltro  non infrequente
nell'attuale   sistema   processuale   penale  il  quale  riserva  al
dibattimento  la formazione della prova; ne consegue che qualora essa
si  verifichi  l'imputato non potrebbe dolersi del mancato accesso ai
riti  alternativi  proprio  perche', scegliendo il rito ordinario, ha
calcolato il rischio di una possibile modifica dell'imputazione.
    Viceversa,  se il p.m. ha esercitato i poteri di cui all'art. 516
c.p.p.  sulla  base  di  emergenze  che erano gia' in suo possesso e'
indubitabile  che  l'impossibilita'  per  l'imputato  di  accedere al
giudizio  abbreviato  si traduce in una lesione del diritto di difesa
costituzionalmente garantito dall'art. 24.
    La   scelta   del   rito  per  la  definizione  del  procedimento
costituisce  espressione  del diritto di difesa; in tale scelta gioca
un ruolo determinante la formulazione del capo di imputazione sicche'
eventuali   modifiche   dell'imputazione,   non   giustificate  dalla
ricorrenza  di  elementi  nuovi,  potrebbero annullare le ragioni che
avevano  determinato  l'imputato  ad  optare per il rito ordinario ed
indurlo a ritenere piu' conveniente il giudizio abbreviato.
    E  che  vi  sia  una  stretta  correlazione tra scelta del rito e
formulazione  dell'imputazione  emerge  chiaramente  dalla disciplina
contenuta nell'art. 441-bis c.p.p., introdotto dall'art. 2-octies del
decreto-legge  7 aprile  2000,  n. 82  convertito,  con modificazione
nella  legge  5 giugno  2000,  n. 144; la disposizione appena citata,
innovando la precedente normativa, non solo ha previsto che nel corso
del  giudizio  abbreviato  il  p.m.  possa  procedere ad una modifica
dell'imputazione  ma  ha  altresi'  sancito  che  in  tale  evenienza
l'imputato  ha  la  facolta'  di  chiedere  che il procedimento a suo
carico prosegua con il rito ordinario.
    Appare  allora  del  tutto irragionevole che nell'attuale sistema
normativo  di  fronte  ad  una modifica dell'imputazione avvenuta nel
corso del giudizio abbreviato l'imputato ha facolta' di optare per il
rito  ordinario, viceversa qualora tale modifica avvenga nel corso il
giudizio  ordinario  per  l'imputato  e'  preclusa la possibilita' di
accedere al giudizio abbreviato.
    Merita  ancora  di  essere  segnalato che in considerazione della
nuova   disciplina   del  giudizio  abbreviato  dettata  dalla  legge
16 dicembre 1999, n. 479 possono ritenersi superate le argomentazioni
che  avevano  indotto  la Corte costituzionale con la sentenza n. 265
del  30 giugno 1994 ad offrire una soluzione differente alla tematica
del   rapporto  tra  modifica  dell'imputazione  e  accesso  ai  riti
alternativi  a  seconda  che  il  prevenuto  intendesse optare per il
patteggiamento o per il giudizio abbreviato.
    Ed,   infatti,   la   Consulta   da   un  lato  aveva  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 516 c.p.p. nella parte in
cui  non  prevede  la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice
del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 c.p.p.,
in  ordine  al  fatto  diverso  o  al reato concorrente contestato in
dibattimento,  quando  la  nuova  contestazione concerne un fatto che
gia'  risultava  dagli  atti  di  indagine  al momento dell'esercizio
dell'azione  penale  ovvero  quando  l'imputato  ha tempestivamente e
ritualmente  proposto  la richiesta di applicazione di pena in ordine
alle    originarie    imputazioni,    dall'altra   aveva   dichiarato
l'inammissibilita' della medesima questione sollevata in relazione al
giudizio abbreviato.
    La  Consulta  era  giunta  a  tale  conclusione  sulla base delle
seguenti considerazioni:
        1)  l'inconciliabilita' strutturale tra il rito abbreviato ed
il rito ordinario;
        2)   la   possibilita',  rimessa  alla  discrezionalita'  del
legislatore,  di  risolvere  la  questione  in  maniera differente da
quella  prospettata  dal giudice remittente: in particolare qualora a
seguito  di  una modifica dell'imputazione l'imputato manifestasse la
volonta' di accedere al rito abbreviato non potrebbe ritenersi scelta
costituzionalmente obbligata quella di operare una trasformazione del
rito,  posto  che  tale  soluzione «si pone in termini alternativi ad
altre  possibili opzioni, attinenti alla sfera della discrezionalita'
legislativa,  come  ad  esempio  quella  di  attribuire  al  giudice,
all'esito  del dibattimento, il compito di verificare l'esistenza dei
presupposti per accedere al giudizio abbreviato al fine di applicare,
nel  caso  di condanna, la riduzione di un terzo della pena, o quella
di   una   preclusione  della  nuova  contestazione  con  conseguente
trasmissione degli atti al pubblico ministero relativamente ad essa».
    Tali  argomentazioni,  ad  avviso  del  giudice scrivente possono
ritenersi  superate;  d'altronde  la  stessa  Consulta nella sentenza
n. 295/1994    nell'affrontare    il   rapporto   tra   modificazione
dell'imputazione   e   giudizio  abbreviato  aveva  premesso  che  la
soluzione  prospettata  dal  giudice remittente non potesse ritenersi
una  scelta costituzionalmente obbligata «allo stato dell'ordinamento
processuale».
    In  particolare  quanto alla prospettata inconciliabilita' tra il
giudizio  abbreviato  e  il  rito  ordinario  valga  osservare che il
sistema  processuale  penale attuale - a differenza di quello vigente
all'epoca  in  cui fu emessa la sentenza costituzionale n. 295/1994 -
conosce  casi in cui il giudice del dibattimento dispone e celebra il
giudizio abbreviato.
    L'art. 555 c.p.p. espressamente prevede che per i procedimenti di
competenza  del  giudice  monocratico per i quali l'azione penale sia
promossa   con  l'emissione  del  decreto  di  citazione  a  giudizio
l'imputato  possa  richiedere al giudice del dibattimento il giudizio
abbreviato,  laddove invece alla stregua del combinato disposto degli
artt. 555,  comma  I,  lett.  e)  c.p.p.  e  557  c.p.p.  nella  loro
originaria  formulazione,  antecedente  all'entrata  in  vigore della
legge  n. 479/1999,  spettava  al  g.i.p. decidere anche in ordine al
giudizio   abbreviato   richiesto  nell'ambito  dei  procedimenti  di
competenza  del pretore per i quali non vi era il filtro dell'udienza
preliminare.
    Ancora   merita   di   essere   segnalato  che  la  stessa  Corte
costituzionale  con  la  sentenza  n. 169  del  19-23  maggio 2003 ha
dichiarato  l'illegittimita' costituzionale degli artt. 438 comma VI,
c.p.p.,  458 comma II c.p.p. e 464 comma I c.p.p., nella parte in cui
non  prevedono  che  in  caso  di rigetto della richiesta di giudizio
abbreviato  subordinata  ad  una  integrazione  probatoria l'imputato
possa  rinnovare  la  richiesta prima della dichiarazione di apertura
del  dibattimento  di  primo  grado  ed  il giudice possa disporre il
giudizio abbreviato.
    Con  riferimento poi alle soluzioni legislative prospettate dalla
Corte   costituzionale   come   alternative  rispetto  alla  facolta'
dell'imputato  di  richiedere al giudice del dibattimento il giudizio
abbreviato  a seguito di una modifica del capo di imputazione operata
nel corso del dibattimento, valga osservare che ragioni di speditezza
e   di   economia   processuale,   oggi   assistite   dal   principio
costituzionale   della  ragionevole  durata  del  processo  enunciato
dall'art. 111,  II  comma  Cost., sembrano precludere la strada della
preclusione  per  il  p.m.  dell'esercizio  dei  poteri  di  cui agli
artt. 516  e  517  c.p.p.:  essa  condurrebbe  necessariamente ad una
regressione  dell'intero  procedimento  qualora  il  p.m.  operi  una
modifica  dell'originaria imputazione ovvero una regressione parziale
nell'ipotesi in cui la pubblica accusa contesti un reato concorrente.
    Parimenti  non  appare  prospettabile  la  soluzione secondo cui,
qualora   si   verifichi   l'evenienza   in  esame,  il  giudice  del
dibattimento   all'esito   dell'attivita'   istruttoria  in  caso  di
condanna, riconosca all'imputato la diminuente del rito abbreviato.
    Tale   soluzione  e'  stata  ritenuta  «incongrua»  dalla  stessa
Consulta  che  con  la  sentenza n. 54 del 15 marzo 2002 ha osservato
come  la tematica del controllo sul provvedimento del g.i.p reiettivo
dell'istanza  di  giudizio abbreviato condizionato non potesse essere
affrontata  nei  termini  prospettati  dal  giudice remittente, ossia
sulla  falsariga  del  modulo  procedimentale individuato dalla Corte
costituzionale con la sentenze n. 81 del 15 febbraio 1991 e n. 23 del
31 dicembre  1992,  concretizzatosi nel riconoscimento del potere del
giudice  del  dibattimento di applicare all'esito del dibattimento la
diminuzione di pena prevista dall'art. 442 c.p.p.
    Ed  invero  posto  che  la  legge  n. 479/1999  ha  profondamente
innovato  la disciplina del giudizio abbreviato, abolendo il consenso
del p.m. e il presupposto della definibilita' del giudizio allo stato
degli  atti,  il  potere  di  controllo  del  giudice  all'esito  del
dibattimento in ordine alla ricorrenza dei predetti presupposti si e'
svuotato di contenuto.